La domanda di Panebianco

Siamo pronti a combattere?

Le manifestazioni studentesche, quali che siano, farebbero sempre bene a svolgersi fuori dalle aule di lezione, in modo da non far sprecare inutilmente tempo ai loro colleghi fuori sede, costretti a centinaia di chilometri per frequentare magari il corso di esame. A parte la prevaricazione compiuta, la protesta all’università di Bologna nei confronti del professor Panebianco è priva di qualsiasi senso logico. Quando ci sono 500 coetanei dei suoi contestatori arruolati nei “foreign fighters” dell’Isis, è difficile ritenere il professor Panebianco un guerrafondaio. In Siria si combatte una guerra da anni che colpa ne ha il professo Panebianco. Vedremo ora gli effetti della tregua negoziata fra russi e americani, quando il califfo al Baghdadi non ha nessun interlocutore nelle trattative di Monaco. Diventa persino più comprensibile l’interrompere le lezioni del professor De Felice nel secolo scorso, che quelle di Panebianco oggi. Il quale aveva fatto una semplice domanda che faremmo bene a porci tutti, nel momento in cui nelle nostre città girano pattuglie dell’esercito in mimetica: l’Italia è in grado di combattere? Perché ammesso che la strategia di contenimento dell’Is in Siria ed in Iraq abbia dato dei frutti, ecco che l’Is non è stato distrutto, al contrario, si è trasferito armi e bagagli in Libia. E meno male che gli americani si sono stufati di aspettate il governo nazionale unitario promesso dall’Onu per decidersi ad intervenire. Perchè visto che l’Is è un movimento portato naturalmente all’espansione, ecco che inizierà a premere ai suoi confini. L’Algeria e l’Egitto sono Stati con governi militari, il primo in particolare possiede una lunga esperienza di guerra ancora in corso. La Tunisia è un boccone facile e di fatto già i jahidtsi lo stanno addentando. Il Ciad ed il Niger sono anche due regioni di espansione in cui già opera un’affiliata come Boko Haram. Poi resta da capire se gli uomini del Califfo si spingeranno nel Sudan verso Khartoum, o più facilmente, attraverseranno il Mediterraneo, un semplice lembo di mare che ci divide dai milioni di islamici residenti in Europa. Forse i nostri studenti bolognesi pensano che gli integralisti non siano interessati a pregare nelle moschee di Roma, di Madrid, o di Vienna. Il rischio è che prima che ci si renda conto della necessità di un intervento in Libia, gli integralisti dalla Libia siano già nelle nostre strade, sul modello di quanto avvenuto a Parigi il novembre scorso. Per cui facciamo nostra la domanda di Panebianco, siamo pronti a combattere?

Roma, 23 febbraio 2016